Vorrei aprire il mio laptop e tornare a scrivere dei Mammuth, dei CUMR e dell’hockey. Vorrei concludere il pezzo con la solita, superba soddisfazione saccente tipica dello scrittore, sorridendo e fremendo per un nuovo, colorato sabato al Palamunicipio. Vorrei uscire, andare al campo e sedermi ai tavolini del bar con una birra ghiacciata, scaldata con il passare delle battute becere dalla compagnia della solita brigata. Vorrei, lo vorremmo, ci manca.
Tuttavia credo che ci siano momenti e momenti per tutto. C’è il momento della battuta, quello in cui essere seri, c’è un momento per mangiare, uno per dormire, uno per sperare, uno per essere fiduciosi, uno per innamorarsi, uno per essere delusi, uno per essere felici, pensare che c’è addirittura un momento per vivere e uno per morire. Ebbene, credo fermamente che questo sia il momento di fare una sola, preziosa cosa: fermarsi e riflettere.
Sono fermi i campionati, così come le fabbriche, le nostre attività lavorative e quotidiane, i rapporti faccia a faccia con amici e parenti, è ferma Roma, che possiamo solo immaginare vuota come non l’abbiamo mai vista, con un fascino nostalgico e allo stesso tempo inquietante. Ciò stride con la guerra contro un nemico invisibile che tutti i giorni medici e infermieri combattono per noi nella trincea delle corsie ospedaliere con il sottofondo leggero, ma assordante dei respiratori. E noi nelle retrovie ad aspettare, utilizzando la potente arma del distanziamento sociale, non possiamo, non dobbiamo sprecare il nostro tempo che seppur privato della normalità, deve essere vissuto nel migliore dei modi. E dunque, quale modo migliore per riflettere e pianificare un futuro migliore, un futuro più bello, pieno di speranza e lontano dagli errori che ci hanno portato a questa situazione? Perché è vero che è fermo tutto, ma questo non vale per la nostra immaginazione e i nostri sentimenti.
Per non sentirci troppo distanti inizierei a riflettere proprio sui Mammuth. Riducendo all’osso voyeuristicamente il concetto, cosa sono i Mammuth? Io personalmente non l’ho mai vista come una semplice squadra, la definirei più una comunità. Si dice al plurale non a caso “I Mammuth”. Sì, una comunità formata da persone che condividono valori, passioni e stili di vita. Ma quanto è bello stare coi Mammuth? Domanda retorica, ovviamente. E se per un attimo accendessimo il motore dell’immaginazione ed estendessimo questa unione di intenti su scala cittadina, nazionale, continentale, globale? Una maxicomunità dove ognuno ha le proprie caratteristiche, che però arricchiscono la collettività. Utopia.
Quello che questo virus sta cercando di dirci con le maniere cattive, in fondo però, è che abbiamo corso troppo, perdendo di vista i reali valori delle cose, eludendo i momenti di riflessione e chiudendoci in un’individualità apparentemente innata. Siamo tutti i protagonisti del nostro film, i supereroi del nostro fumetto, il singolo di successo del nostro album, ci sentiamo tutti invincibili, da soli. Poi al Palamunicipio accade qualcosa tuttavia. Ti manca il gambale? Pino ne tiene sempre vari a disposizione per tutti nell’armadietto, ecco la chiave. Beviamo tutti insieme, chi porta da bere? Adriano? Ha portato i bicchieri per tutti. Serve un passaggio a casa? Nessun problema, ci sta Badex. Tutti, nel proprio piccolo, condividono, si mettono a disposizione e lo fanno spontaneamente per qualcosa di più grande, che è la comunità e nulla ti fa stare meglio. Viviamo nell’epoca delle grandi democrazie e dei grandi paradossi. Cerchiamo di chiuderci nei nostri confini, quando il nemico non sa neanche cosa sia una dogana, cerchiamo di ragionare al nostro orticello quando il problema è dell’intera specie umana. In ogni guerra, piccola o grande che sia, gli alleati sono preziosi e in questo caso il nostro alleato è la collettività.
Ovviamente parliamo di fantasia qui, ma già a partire dal nostro piccolo, insensato ed egoistico mondo può nascere un futuro migliore. Quante volte ci siamo arrabbiati per cose che ora consideriamo futili? Quante volte abbiamo reputato noiose serate di routine che ora vorremmo con tutti noi stessi? Abbiamo urlato in preda ad un’isteria ingiustificata per la mancanza di rete internet, quando adesso la baratteremmo volentieri per un caffè al bar con gli amici. Passavamo i venerdì sera a prendercela con quelli che uscivano perché quanto è bello stare da soli a vedere le serie TV e criticare gli altri sui social, quando ora in realtà non ne possiamo più di vedere la fantasia pixellata. Ci dispiaceva per la fame nel mondo e i per i pinguini che non avevano più ghiaccio su cui vivere, ma alla fine se dovevamo andare a comprare le sigarette ci andavamo con la macchina. Ce la siamo presa con lo straniero, quando adesso pretendiamo solidarietà. E ora che siamo soli, con i nostri demoni, vorremmo solo quello che ci è stato tolto: stare in società e starci bene, nella più totale semplicità. In campo si gioca in tanti, sugli spalti si tifa in altrettanti, nella vita si vive insieme e no, nessuno è protagonista proprio di un bel niente. Si sente molto questi giorni la frase “nulla sarà più come prima”. Personalmente me lo auguro, anche perché se nulla cambia allora vuoldire che siamo “de coccio”, direbbero i CUMR.
di Andrea Candelaresi. Articolo pubblicato nel MMAG 79 di marzo 2020.